Libero Cerrito


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L’elezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica

Il 10 Maggio 2006 il Presidente della Camera Fausto Bertinotti ha proclamato l’elezione di Giorgio Napolitano al Colle con 543 voti e l’astensione del centrodestra (tranne due voti favorevoli dell’UDC). Giorgio Napoletano è stato per oltre cinquant’anni dirigente del Partito comunista ma anche uomo delle istituzioni. Si tratta indubbiamente della definitiva scomparsa del “fattore K” ma anche dell’elezione al settennato di una personalità sicuramente di garanzia per tutte le forze politiche.
Nel nostro sistema ìl Presidente della Repubblica costituisce un potere neutro ed intermedio con funzioni di garanzia e di controllo, esercitate stabilmente ed imparzialmente al di fuori delle tre funzioni tradizionali (esecutivo, legislativo e giudiziario).Il Presidente è il tutore della Costituzione ed arbitro tra i partiti: ciò trova conferma nell’art. 87 della Cost. che qualifica il Presidente della Repubblica come Capo dello Stato italiano e rappresentante dell’unità nazionale.
Napolitano ha sempre anteposto l’interesse e lo spirito di servizio rispetto all’interesse di parte (anche per la collocazione socialdemocratica, per sua natura aperta al dialogo, che aveva nel Pci).
Giorgio Napolitano ha sostenuto posizioni socialdemocratiche dentro il Pci fin da quando questo intratteneva una fitta rete di relazioni con tutte o quasi le democrazie occidentali, ma il Pci non arrivava ad un approdo socialdemocratico. E tuttavia Giorgio Napoletano non sopporta le ricostruzioni di comodo, della storia del Pci. Entrò nel Pci nel ’45, poco più che ragazzo, già da dirigente, quando gli fu chiesto di prendere la guida della gioventù comunista napoletana. Napolitano, sebbene socialdemocratico, non ha mai rinnegato e abiurato la tradizionela.. Non lo ha fatto ai tempi della svolta di Achille Occhetto, che appoggiò anche se gli parve improvvisata e incerta nei fini, e soprattutto affidata a un gruppo di quarantenni che del berlinguerismo erano stati un po’l’avamguardia, e quanto ad antisocialismo avevano superato lo stesso Berlinguer. E non l’ha fatto nemmeno in tempi assai più recenti, tanto meno nell’autobiografia politica (dal Pci al socialismo europeo) pubblicata l’anno scorso da Laterza, in cui Napolitano ricostruisce la sua lunga vicenda nella sinistra italiana.
La sua tesi di fondo è nota: il Pci avrebbe potuto e dovuto salvare non tutto il suo passato, ma il meglio della sua esperienza, per ricondurlo nell’alveo del socialismo democratico; e invece si attestò, negli ultimi anni di Berlinguer, a difesa di una sua supposta diversità politica e morale, e nello stesso tempo, sempre per non diventare un partito socialdemocratico, si mise alla ricerca di inesistenti terze vie, così esponendosi all’isolamento. Napolitano non fu d’accordo né sulla ricerca di improbabili “terze vie” tra comunismo e socialdemocrazia né sulla guerra esplosa, a sinistra, con Bettino Craxi presidente del Consiglio, sulla scala mobile. Il prezzo pesante di un dissenso sempre più evidente lo pagarono tutti i miglioristi tra cui lui, tacciati di essere una sorta di quinta colonna craxiana, ridotti al rango di ospiti non troppo desiderati in quella che continuavano a considerare la loro collocazione partitica.
La ricomposizione in un unico, grande partito delle diverse famiglie del socialismo italiano non c’è stata, e probabilmente non ci sarà mai. Della prospettiva di nuovo partito democratico si parla a giorni alterni: e in ogni caso non lo ha mai entusiasmato più di tanto.
La sua storia politica è avvenuta nella continuità di un impegno parlamentare iniziato già nel 1953, proseguito passando per incarichi di grande responsabilità come quello di Presidente del Gruppo Parlamentare comunista, sino ad approdare alla Presidenza della Camera dei Deputati. E in quella breve ma per molti versi drammatica legislatura Giorgio Napoletano ha saputo difendere al meglio l’intera classe politica sull’orlo di una crisi irreversibile. Sono seguiti altri prestigiosi incarichi; come la Presidenza della Commissione per gli Affari Costituzionali del Parlamento europeo, come la nomina a senatore a vita, e come, da ultimo, la nomina a Presidente della Fondazione della Camera dei Deputati, recentemente istituita. In queste esperienze istituzionali si coglie appieno tutto il senso di quello che da più parti è stata definito il suo anteporre l’interesse e lo spirito di servizio allo spirito di parte. Non si può non ricordare l’esperienza di Napoletano come Ministro dell’Interno, anche per l’incidenza che i problemi che egli si è trovato ad affrontare avevano ed hanno per le popolazioni del Mezzogiorno d’Italia e per il drammatico problema dell’immigrazione clandestina, gestito con fermezza e senso di umanità.